IL PREMIO PER LE MONETE. AL TAR LA SPUNTA LO STATO

IL CASO: Respinto il ricorso presentato dalla immobiliare di via Diaz
Gli avvocati: «Motivazioni sommarie, ora andremo al Consiglio di Stato»

È lo Stato ad aggiudicarsi il primo round del braccio di ferro giudiziario sul riconoscimento del premio dovuto per la scoperta del "Tesoro di via Diaz". Il Tar della Lombardia ha infatti respinto il ricorso presentato dalla srl comasca "Officine immobiliari", he per il ritrovamento delle monete chiedeva il riconoscimento di un premio più alto di quello che il ministero vorrebbe liquidare, perfino insufficiente - sostengono i ricorrenti - a coprire le spese che ha suo tempo la stessa società sostenne per assicurare la valorizzazione del tesoro (circa 350mila euro).
A fronte di una normativa che consente l'elargizione di un premio «non superiore» al 25% del valore del ritrovamento, alla società dell'imprenditore Saba Dell'Oca era stata riconosciuto una ricompensa del 9,25%, cui però ministero e Soprintendenza avevano deciso di applicare anche un'insolita ritenuta del 25. Ne derivava un totale di circa 270mila euro, attribuendo alle monete un valore di 4 milioni di euro (si tenga conto del fatto che un altro nodo cruciale della vicenda riguarda proprio la stima del valore delle monete, che stante il parere dei consulenti numismatici di Officine Immobiliari non sarebbe inferiore ai 10 milioni).

I PUNTI CONTESTATI
Tre erano i punti sui quali faceva leva il ricorso (presentato dagli avvocati Oliver Pucillo Furer e Giovanni Murgia). Il primo riguardava l'entità stessa del premio, il secondo la titolarità dell'impresa immobiliare ad incassarlo (la legge dice che il premio spetta al proprietario dell'area, al concessionario della attività di scavo o allo scopritore accidentale), il terzo riguarda la ritenuta del 25% applicata dallo Stato in ossequio ai contenuti della norma che regola la tassazione alla fonte delle vincite del gioco d'azzardo, come a dire che ritrovare un'anfora in giardino corrisponda a imbattersi in un gratta e vinci fortunato («in realtà - commenta l'avvocato Pucillo - , il premio è teso a gratificare la collaborazione offerta che è atto di deliberata volontà della persona, non già effetto dl caso e della sorte»).

LE MOTIVAZIONI
Cercando di semplificare al massimo: sull'entità del bonus, il Tar ha detto in sostanza che siccome i lavori per il recupero dell'ex Cressoni si sono conclusi con successo e l'operazione immobiliare è andata a buon fine, esso può considerarsi congruo, e questo benché - come sostegno invece i ricorrenti - l'avere o meno completato i lavori non rientri affatto tra i criteri alla base della determinazione del premio. Sul ruolo della società proprietaria dell'area, i giudici escludono l'eventualità che possa la stessa ritenersi "concessionaria" dello scavo (e quindi beneficiaria di un riconosci), e questo benché i lavori fossero stati eseguiti non solo con l'autorizzazione della Soprintendenza ma addirittura con la prescrizione di "arruolare" un archeologo che li coordinasse.. E  ancora: a Officine Immobiliari neppure può attribuirsi la paternità della scoperta che sarebbe invece da scriversi al "suo" archeologo, visto che fu lui, quel giorno del settembre 2018, a denunciare materialmente il ritrovamento della autorità. Anche in questo caso le due "letture"  si posizionano agli antipodi: gli avvocati della srl sostengono che sul punto la giurisprudenza sia pacifica, e che lo scopritore è chi decide l'intervento.
«La sommarietà della motivazione per un verso rattrista, per un altro - conclude l'avvocato Pucillo - apre la vide dell'immaginazione dinanzi al Consiglio di Stato».

S. Fer.

«Decisione "coraggiosa" Ma andremo avanti»
«È stata una decisione coraggiosa - commenta Saba Dell'Oca, l'amministratore di Officine Immobiliari - Coraggiosa perché bisogna avere molto coraggio per scrivere simili "castronerie". È una sentenza costruita sul presupposto di darci comunque torto, a prescindere dalle nostre ragioni oltre che dalla ratio delle norme in vigore, che sono chiare. Anzi: chiarissime».
«È assolutamente corretto - prosegue Dell'Oca - che in occasione di lavori edili in città murata si svolgano indagini archeologiche. Lo stesso Pgt del Comune di Como lo impone. I costi sono certamente notevoli, talvolta elevatissimi, come nel caso di quelli da noi sostenuti e si concede che le ricerche siano svolte da privati, a loro spese, in quanto concessionari perché lo Stato - quantomeno questa è la giustificazione - non dispone delle risorse necessarie. Capita così che si acquisiscano dati molto importanti per la storia della città attraverso il recupero di reperti il cui valore solitamente è modesto, tant'è che di fatto nessuno richiede il premio previsto dalla legge, che sarebbe irrisorio se paragonato ai costi sostenuti. Nel caso del Tesoro di Como, invece, il valore è straordinario superiore ai 10 milioni di euro. Ma le regole sono le medesime…».
Servirebbe un giudice a Berlino, come in tutte le circostanze in cui - dice ancora Dell'Oca - Lo Stato sia chiamato a giudicare sé stesso. «Mi piace citare Luigi Einaudi: si chiedeva, non a torto, come fosse possibile che nonostante tutti gli ostacoli che lo Stato impone a chi svolge un lavoro come il nostro, ogni mattina in Italia ci sia ancora qualche imprenditore che si alza dal letto con la voglia rimboccarsi le maniche e di ricominciare…».
Il prossimo passo è il ricorso al Consiglio di Stato

La Provincia di Como 3 giugno 2022

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