IL FISCO SI FERMA DAVANTI ALL'ANTICO TESORO RITROVATO

Norme e tributi. Niente ritenuta sul premio per il ritrovamento di mille monete d'oro di epoca romana. Inapplicabile la disciplina per le vincite da giochi, lotterie e scommesse

Chi trova un tesoro in monete d'oro e lo affida allo Stato, non deve porsi problemi fiscali. Ciò si desume dalla sentenza del Consiglio di Stato 920/2024, relativa ad una scoperta avvenuta a Como. Durante una ristrutturazione edilizia, era infatti emerso un vaso con mille monete d'oro, risalenti al periodo tardo romano. Il consistente loro valore (oltre 3.000.000 di euro) ha generato una lite dalla quale si desume un'autonomia tra la sorte ed il fisco. Le mille monete, come bene archeologico, sono di proprietà dello Stato (articolo 92 del Dlgs 42/2004, articoli 822 e 826 del Codice Civile), mentre allo scopritore è spettato un premio che può giungere fino al 25% del valore della scoperta. 

La perizia sul valore spetta al ministero, il quale individua poi i soggetti interessati al premio di rinvenimento (proprietario dell'area, impresa esecutrice dei lavori) e infine provvede al pagamento. Nel caso specifico, al momento del pagamento lo Stato si è ricordato di essere anche un esattore ed ha applicato la ritenuta d'acconto sul premio. Di qui la lite con la società proprietaria del cantiere, che ha invocato l'articolo 30 del Dpr 600/1973, cioè la norma che prevede una ritenuta d'acconto sugli importi di premi e vincite derivanti dalla sorte, da giochi di abilità, da concorsi, pronostici e scommesse. Per il tesoro trovato a Como, lo Stato ha riconosciuto il diritto al premio, ma intendeva detrarre la ritenuta.

In primo grado il Tar di Milano ha condiviso questa detrazione, ritenendo che il premio generasse capacità contributiva (come per i premi dei quiz televisivi). La soluzione non ha convinto l'impresa autrice della scoperta, che ha proposto un appello ritenuto oggi fondato dal Consiglio di Stato. I giudici hanno escluso l'obbligo di praticare la ritenuta e quindi, di fatto, anche l'obbligo di considerare il premio un "reddito diverso" sottoposto a tassazione.

Secondo i giudici, il premio spettante al proprietario del sito di ritrovamento non può essere considerato alla stregua di una vincita, di un pronostico o di una scommessa, collegati alla mera sorte. Si tratta invece, di un indennizzo corrisposto a titolo di ristoro per gli effetti derivanti dall'attività autoritativa di incameramento di un bene che, anche se ritrovato nell'ambito di una proprietà privata, diventa statale, in omaggio a superiori interessi pubblici.

Mancando quindi qualsiasi, anche generica prevedibilità del ritrovamento, il premio per mille monete è stato considerato un ristoro per un'attività svolta nell'interesse pubblico, collegato alla meritevolezza ed esemplarità del comportamento dello scopritore. In altri termini, restituire allo Stato quanto dallo stesso dimenticato, genera un premio, senza un vero e proprio reddito fiscalmente rilevante. Detto premio, al di là dei termini utilizzati (sorte, fortuna) non può essere assimilato ai premi del lotto e delle lotterie. Il legislatore non ha infatti voluto implementare le entrate dell'erario, ma creare una convenienza reale (non simbolica) per i soggetti che, a vario titolo, si trovino a contatto con beni archeologici, affinchè non occultino i ritrovamenti e non cedano alla tentazione del commercio illegale dei relatvi reperti. Quindi non si tratta di una normativa inquadrabile in una logica tributaria (tendente alla massimizzazione delle entrate erariali), ma in quella diversa della tutela dei beni culturali.

Il Sole 24 Ore 2 marzo 2024

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